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Ligabue: "Sono un tossico da palco sempre in cerca di conferme"

"Sono un tossico da palco. Continuamente in cerca di conferme che esiste un 'noi', un noi che sono riuscito a provocare io, e stati d'animo condivisi. Ho un bisogno costante di appartenenza, di sapere di far parte di qualcosa - anche dopo 30 anni di carriera - perché alla fine non sono mai cambiato e rimango sempre fuori posto, fuori tempo, fuori moda". Luciano Ligabue (parafrasando il sé stesso di Non è tempo per noi), dopo il ricco antipasto estivo con i 100 mila dei due eventi negli stadi di Milano e Roma, torna a urlare contro il cielo per il tour indoor, partito ieri sera con un doppio appuntamento sold-out da 11 mila spettatori l'uno all'Arena di Verona. Venticinque date che lo porteranno nei palasport italiani fino al 1° dicembre, con una nuova sfida per sé e per i suoi fidi musicisti che lo accompagnano: una scaletta diversa ogni sera. "Mi piace l'idea che la gente che viene a sentirci si lasci sorprendere. Questa cosa che sai già tutto prima ancora di arrivare a un concerto ha un po' rotto i coglioni - racconta il Liga nei camerini, bicchiere di rosso in mano e il suo modo sempre diretto, ormai scaricata la tensione del debutto, alla fine del concerto -. Certo, non posso stravolgere del tutto la scaletta, ma abbiamo una quarantina di pezzi pronti, e ogni sera ci saranno piccoli cambiamenti. Voglio far girare tutti i pezzi del nuovo album Dedicato a noi. Stasera (ieri) c'erano sei brani nuovi e di solito non si fa, ma le canzoni vanno aiutate. Quella che preferisco? La metà della mela, dedicata a mia moglie. Non necessariamente la più bella, ma quella che mi emoziona di più. Non so come, ma vorrei sorreggere questo album un po' più a lungo". E poi svela una curiosità legata alla sua personalissima cabala, legata al numero 7, sempre ricorrente nella sua vita. "Cominceremo sette volte con sette canzoni di Dedicato a noi, ognuna con una intro diversa. Il sette che torna sempre… ma è davvero un caso". Il via dall'Arena dove ormai è di casa, come ammette lui stesso. "Confesso: ho una brandina lì dietro e ogni tanto mi dicono tocca a te - dice, ridendo -. Siamo vicino alla quarantina di volte, ma è sempre una magia, non ci si abitua mai a questo posto". Ventiquattro i brani in fila uno dopo l'altro, pescati qua e là tra i quattordici album in studio in un crescendo di energia. Ci sono brani immancabili come Piccola Stella senza cielo, Balliamo sul mondo, Tra Palco e Realtà, ma anche brani rimasti da parte per troppo tempo come Viva o Sarà un bel souvenir. "Alcune era una vita che non le facevo. Mi conoscete, in me c'è quel senso del dovere da cattocomunista che deve far contenti tutti. E allora cerco di prendere un po' qui e un po' lì. Per ora sono rimasti fuori i brani di Mondovisione, e mi dispiace, sono 10 anni che è uscito e quell'anno fu un successo". Il primo dei bis lo riserva a Dedicato a noi, il singolo che dà il titolo al nuovo album, poi le attese Certe Notti e Urlando contro il Cielo. In uno show incredibilmente colorato, denso, vitale, con le chitarre sempre protagoniste e gli arrangiamenti quanto mai fedeli agli originali per una precisa scelta, poco oltre la metà dello show Ligabue spiazza tutti e chiede un minuto di silenzio nella ricorrenza della tragedia del Vajont, stessa terra veneta che lo sta ospitando. "Esattamente 60 anni fa in questo momento più o meno di questo giorno, un monte è franato all'interno di un bacino, creando un'onda si dice tra i 170 e i 250 metri di altezza. Non ci possiamo permettere di dimenticare: vi chiedo una roba che non si fa mai ai concerti. A loro, e alla nostra memoria nel momento in cui lo facciamo". Il pubblico ammutolisce, prima di esplodere in un fragoroso applauso liberatorio. "La velocità dei tempi che viviamo fa accorciare la nostra memoria e questo non ce lo possiamo permettere - spiega poi l'artista a freddo, sapendo di aver provocato un piccolo choc -. Viviamo di sensazioni forti, di titoli forti, e questo dà assuefazione. È un anno e mezzo che in Ucraina c'è la guerra e ci siamo abituati anche a quello. Ci isoliamo e ci stacchiamo sempre di più uno dall'altro". A vederlo con gli occhi di oggi, quell'album del 1993, che oggi festeggia 30 anni, Sopravvissuti e sopravviventi, sembra in qualche modo profetico. "In vita mia non ho mai corso tanti rischi da sentirmi un sopravvissuto, ma sono tempi che mi sento un sopravvivente - aggiunge il rocker di Correggio -. Mancava solo quello che si è aggiunto sabato in Medioriente. Questi anni '20 sono veramente terribili".


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