"La musica non basta eseguirla, bisogna dare grandi emozioni, bisogna trasmettere le emozioni. Quelle che Verdi ha trasmesso a noi, noi le trasmettiamo ai cori, ai cantanti, e tutti noi dobbiamo far sentire questo brivido dietro la schiena al pubblico", dice con passione il maestro Daniel Oren. Questo fa di un'opera una grande interpretazione. Ma questo non sempre è possibile quando la regia non è buona, o addirittura, come indica lo stesso Oren, "orrenda". Il riferimento è a Verdi ma non solo, è a Puccini e ad altre messe in scena. A Trieste per presentare l'Otello con il quale il 4 novembre inaugurerà la stagione lirica del Verdi, tornando nella città nella quale è cominciata la sua lunga carriera, Oren non usa mezzi termini: "Si vedono cose orrende in giro, pochi registi amano i cantanti e questo è un grande guaio. Se vedete cosa succede fuori dell'Italia e anche in Italia, troverete il gusto dell'orrore. Non posso sopportarlo". Invece, a suo dire, la regia di Giulio Ciabatti è buona: con lui "condividiamo l'amore per la musica, siamo entrambi drogati di teatro. Questo allestimento non va finalmente contro il compositore, contro Verdi, ma è fatto con gusto, con estetica". La ragione di questo decadimento è nel fatto che "si sta cercando di trovare strade nuove, ma non si riesce a trovarle", ma è anche vero che ci sono tanti registi che "non amano la musica, non amano Verdi, non amano Puccini e vogliono essere loro i protagonisti, vogliono essere loro il dio, invece il dio è stato e rimane Verdi". Al contrario, enorme ammirazione il maestro l'ha espressa per "un vero genio": Franco Zeffirelli. "Ho avuto la fortuna di lavorare con lui: per me rimane il più grande. Tutto era una lezione con lui, anche la scelta delle comparse". A tale proposito Oren ha ricordato quando Zeffirelli doveva mettere in scena I Pagliacci, a Roma, e aveva tre settimane di tempo. "Si è inventato qualcosa sotto un'autostrada di Napoli ed è venuta una delle migliori messe in scena dei Pagliacci". Quello di Oren a Trieste è un ritorno: "A 20 anni ho vinto un premio e il grande barone de Banfield, che era nella giuria, l'anno dopo mi ha portato qui, era il 1976, l'anno del terremoto. Qui dunque è cominciata una grande storia d'amore con questa città che amo così tanto. Per tanti anni non sono tornato e non so perché. Poi è arrivato un grande soprintendente e grande musicista, che ha suonato con me, che ha fatto una grande carriera (Giuliano Polo), è stato anche direttore generale di Santa Cecilia, mi ha chiamato ed eccomi qui".
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